Il Coronavirus non è solo una patologia che colpisce la salute fisica di chi la contrae, ma porta con sé una serie di conseguenze psicologiche non trascurabili: la paura; il senso di solitudine e di abbandono durante il periodo di isolamento in casa o durante il ricovero in ospedale.
Gli effetti della quarantena
Per cominciare, sappiamo bene come una delle misure che i governi hanno attuato per prevenire la diffusione del Coronavirus e per superare la malattia (quando i sintomi sono lievi), è quella della quarantena.
Questa implica il totale isolamento per una durata di almeno 15 giorni.
Superati i dieci giorni di isolamento totale la mente inizia a cedere,
dall’undicesimo giorno compaiono stress, nervosismo, ansia maggiore.
Avendo avuto in molti casi reclusioni molto più prolungate, è facile immaginare come gli effetti siano potuti essere ancor più difficili da gestire per la maggior parte della persone.
In un contesto in cui l’interazione sociale è stata ridotta al limite per settimane o per mesi, dove regnava il silenzio nelle strade normalmente rumorose e affollate e siamo stati costretti a stare chiusi in casa, è ovvio come noia e frustrazione siano stati ben presenti nelle nostre giornate.
L’incapacità di mantenere il nostro stile di vita e la nostra libertà di movimento (sia fisica che mentale) ha fatto precipitare molte persone verso un baratro di emozioni complesse e problematiche. In certi casi questo può aver scatenato dei veri e propri sintomi di tipo depressivo.
Paolo ha seriamente pensato di morire quando, trovandosi alla guida della sua auto, ha improvvisamente sentito un forte dolore al petto, un aumento repentino del ritmo cardiaco e uno strano formicolio agli arti superiori. Convinto di essere stato colpito da infarto, ha chiesto al fratello di prendere il suo posto alla guida e di accompagnarlo subito al pronto soccorso dove, dopo un attento esame, i medici hanno escluso la presenza di cardiopatie.
Da un paio di mesi Carla è molto preoccupata per il proprio equilibrio mentale. Si è sempre considerata una donna razionale e determinata, ma da qualche tempo le capita, saltuariamente e “a ciel sereno”, di avvertire un’intensa “fame d’aria” e una sensazione di “testa leggera” e sbandamento, si sente distaccata da sè stessa e teme enormemente che prima o poi perderà il controllo di sé. Nonostante tale timore, non ha cambiato in modo significativo il proprio stile di vita.
Corrado ormai da anni conduce una vita molto ritirata. Dopo un periodo caratterizzato da frequenti attacchi di panico, ora si dice terrorizzato dall’idea di poterne avere altri. Non prende più mezzi pubblici, non usa più l’automobile, evita le code e i luoghi affollati, non viaggia, e dopo alcuni mesi di aspettativa ha ottenuto di poter svolgere il suo lavoro da casa attraverso l’uso del computer. Si allontana dalla sua abitazione solo in caso di stretta necessità e solo se accompagnato da un familiare.
Cos’hanno in comune Paolo, Carla e Corrado? Tutti e tre hanno sperimentato alcuni
dei sintomi tipici del panico.
Se però Paolo ha finora avuto un singolo attacco di panico, Carla sembra
invece aver già sviluppato un vero e proprio disturbo di panico, ossia, una condizione caratterizzata da attacchi inaspettati e ricorrenti e da una persistente preoccupazione per le
implicazioni di tali attacchi che dura da oltre un mese.
Corrado, infine, teme situazioni o luoghi dai quali sarebbe difficile
allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto nel caso della comparsa dei sintomi del panico e ha organizzato gran parte della propria esistenza intorno a questa paura
evitando le situazioni temute e allontanandosi da casa solo se accompagnato. Il suo problema sembra perciò avere tutte le caratteristiche di un disturbo di panico
con agorafobia.
Palpitazioni, sudorazione, tremori, dispnea, sensazione di asfissia, dolore al
petto, nausea, sensazioni di instabilità e sbandamento, derealizzazione o depersonalizzazione, paura di perdere il controllo o di impazzire, paura di morire, parestesie, brividi o vampate
di calore sono i sintomi tipici del panico che solitamente compaiono inaspettatamente (almeno la prima volta) raggiungendo il picco nel giro di una decina di minuti. È necessaria la
presenza di almeno quattro di essi perché si possa diagnosticare un attacco di panico vero e proprio.
Spesso la persona che ne è colpita prova a ‘gestirlo’ mettendo in atto una serie
dicomportamenti protettivi (ad esempio, inizia a respirare molto rapidamente) che nella maggior parte dei casi peggiorano la situazione amplificando le sensazioni del panico
(l’iperventilazione, ad esempio, può peggiorare le sensazioni di vertigine, disorientamento e confusione). E non di rado all’intensa e persistente preoccupazione che l’attacco possa
ripresentarsi segue l’evitamento di situazioni (quali ad esempio, luoghi affollati, mezzi pubblici, code, ecc.) in cui non sarebbe disponibile aiuto o da cui sarebbe difficile
allontanarsi in caso di attacco (agorafobia).
Anche un solo attacco può sensibilizzare la persona rispetto ai segnali dell’ansia
portandola a sviluppare una vera e propria paura della paura. Questo particolare tipo di paura (nota in letteratura scientifica con il nome inglese di anxiety sensitivity porta
l’individuo a interpretare come gravemente minacciosi per la propria integrità fisica o mentale i segnali di attivazione neurovegetativa (anche quelli del tutto fisiologici) e dunque a
reagire ad essi in modo ansioso. L’ansia che ne deriva spaventa a sua volta la persona avviando un vero e proprio circolo viziosoche può condurla in breve tempo ad un attacco. La
paura della paura, insieme agli effetti indesiderati dei comportamenti protettivi, è perciò in buona misura responsabile della comparsa di nuovi attacchi di panico e, in definitiva, dello
sviluppo e mantenimento del disturbo. Gli evitamenti contribuiscono a rendere ancora più problematico il quadro e svolgono un ruolo non secondario nel mantenimento del disturbo
precludendo di fatto alla persona di verificare, attraverso l’esposizione ad esperienze correttive, la fondatezza delle proprie preoccupazioni
Per definizione, un paziente è ipocondriaco se continua a male interpretare alcune sensazioni corporee nonostante abbia ricevuto
rassicurazioni mediche pertinenti, valide e ben fondate e nonostante abbia le capacità intellettive per poter compiere le inferenze opportune da tali informazioni. Nell’ipocondria la
preoccupazione può riguardare le funzioni corporee (per es. il battito cardiaco, la respirazione); alterazioni fisiche di lieve entità (per es. piccole ferite o una saltuaria allergia); oppure
sensazioni fisiche indistinte o confuse (per es. "cuore affaticato", "vene doloranti").
La persona attribuisce questi sintomi o segni alla malattia sospettata ed è molto preoccupata per il loro significato e per la
loro causa. Le preoccupazioni possono riguardare numerosi apparati, in momenti diversi o simultaneamente.
In alternativa ci può essere preoccupazione per un organo specifico o per una singola malattia (per es. la paura di avere una
malattia cardiaca).
I soggetti con l'ipocondria possono allarmarsi se leggono o sentono parlare di una malattia, se vengono a sapere che qualcuno si è
ammalato, o a causa di osservazioni, sensazioni, o eventi che riguardano il loro corpo.
La preoccupazione riguardante le malattie temute spesso diviene per il soggetto un elemento centrale della immagine di sé, un
argomento abituale di conversazione, e un modo di rispondere agli stress della vita.
E’ osservazione comune, infatti, che i pazienti ipocondriaci abbiano un’immagine di sé caratterizzata dalla assunzione di
essere delle persone fragili, vulnerabili, deboli, facili alle malattie. Tale credenza è piuttosto generale e globale, ma costituisce uno dei perni intorno al quale si costruisce il senso della
propria identità. Essa si forma nella prima infanzia nell’ambito delle relazioni con le figure significative di riferimento: spesso la figura d’attaccamento rispecchia tale immagine di debolezza
in modo sistematico, ripetitivo, sia con messaggi espliciti che con atteggiamenti iperprotettivi. Va anche considerato che di solito le figure affettivamente significative nella vita adulta del
paziente ipocondriaco confermano questa immagine. L’immagine di debolezza che il paziente ipocondriaco tende ad avere di se stesso ha diverse sfumature. E’ non solo debolezza sul piano fisico,
intesa come vulnerabilità alle malattie e come facile stancabilità, ma è anche debolezza sul piano psicologico intesa come tendenza a provare emozioni esagerate, ad avere difficoltà nel
controllarle e dunque a poterne essere sopraffatti e impazzire.
Tre scopi sono abitualmente coinvolti nei problemi ipocondriaci:
Molto spesso, almeno in tutti i pazienti ipocondriaci con capacità critica, la preoccupazione ipocondriaca è considerata dai soggetti stessi una reazione esagerata che proprio perché tale compromette lo scopo di ‘non essere deboli’ poiché facilmente suggestionabili, troppo emotivi, non pacati.
Ogni volta che rientra in casa Marina toglie le scarpe e le infila in una busta prima di riporle nella scarpiera. Poi toglie tutti i vestiti e li appoggia in una sedia adibita a questo scopo che tiene vicino all’ingresso. Va poi al bagno a lavare le mani, gli avambracci e il volto; ogni parte viene lavata più volte, fino a 20 volte. Infine, prima di indossare i “vestiti puliti da casa”, passa un batuffolo di cotone imbevuto di disinfettante sui capelli e sugli occhiali. Alla fine di queste operazioni Marina si sente “pulita”, intendendo con ciò l’impressione che su nessuna parte del suo corpo siano depositate sostanze contenenti germi o altro “sporco”.
Alberto tutti i giorni prima di andare a letto controlla che la manopola del gas sia chiusa; questa operazione richiede tutti i giorni dai 15 ai 25 minuti: dopo aver girato la manopola del gas, Alberto apre e richiude la manopola un preciso numero di volte, controlla ripetutamente che la manopola sia perfettamente orizzontale, controlla il grado d’inclinazione rispetto alle piastrelle della parete. Il controllo finisce quando Alberto si sente “abbastanza sicuro che il gas sia chiuso bene”.
tratto da Mancini F. & Perdighe C. (2010), Elementi di Psicoterapia Cognitiva. Roma, Giovanni Fioriti Editore.
Quelli descritti sopra sono esempi degli innumerevoli comportamenti sintomatici che un
paziente con disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) può mettere in atto per almeno un’ora al giorno fino, nei casi più gravi, a sintomi che occupano quasi completamente Il disturbo
ossessivo-compulsivo è un disturbo d'ansia caratterizzato dalla presenza di ossessioni e compulsioni: le ossessioni consistono in idee, pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e/o
persistenti che insorgono improvvisamente nella mente del soggetto e che vengono percepiti come intrusivi, fastidiosi e privi di senso. Le compulsioni sono definite come atti mentali (es.
contare, pregare, ripetere parole) o comportamentali (es. controllare, pulire, ordinare) ripetitivi, messi in atto in risposta ad un'ossessione secondo regole precise, allo scopo di neutralizzare
e/o prevenire un disagio e una situazione temuta.
A differenza di altri disturbi psicologici, sostanzialmente omogenei, il DOC nella pratica
clinica si presenta con sintomi e fenomeni diversi.
Esempi di ossessioni sono pensieri del tipo: “potrei infettarmi con il virus Hiv se tocco
la porta del bagno della discoteca”; “non devo pensare il nome delle persone a cui voglio bene in ospedale, altrimenti potrebbero ammalarsi davvero”; “tutto deve essere sempre perfettamente in
ordine e in armonia, altrimenti qualcosa di brutto potrebbe capitare alla mia famiglia”. A ossessioni di questo tipo seguono condotte compulsive tese a prevenire la minaccia paventata, come ad
esempio: evitare di toccare o anche solo avvicinarsi a tutte le porte delle discoteche, o addirittura a tutte le porte o tutti i locali pubblici; monitoraggio continuo dei propri pensieri e
ripetizione di preghiere tese ad annullare eventuali “pensieri sbagliati”; ancora: azioni tese a evitare di mettere o lasciare oggetti “fuori posto”, controlli che tutti gli oggetti siano
sistemati secondo il proprio criterio di ordine.
I pensieri e le azioni delle persone che soffrono di DOC possono apparire bizzarri,
irrazionali, esagerati o insensati; questo non significa che si tratta di un disturbo del pensiero o che gli ossessivi ragionano meno bene delle altre persone. Chi soffre del disturbo
generalmente si rende conto del fatto che le proprie preoccupazioni e condotte sono esagerate o insensate ma questa consapevolezza, non aiuta a modificare il comportamento ma, piuttosto, alimenta
l’autocritica e la sofferenza (frasi frequenti sono “Non capisco perché mi comporto in questo modo”; “Forse sto diventando matto!”; “Se le persone sapessero che ho questi pensieri mi
prenderebbero per pazzo!”).
Il disturbo si manifesta generalmente nella prima giovinezza (il massimo dell’incidenza si
ha tra i 15 e 25 anni), con una prevalenza lifetime che oscilla intorno 2-2,5% nella popolazione generale. Il decorso raramente è episodico; è, invece, un disturbo che tende a
cronicizzare, anche se con fasi fluttuanti di miglioramento e di peggioramento, e a diventare invalidante; in una percentuale tra il 5 e il 10% il decorso è ingravescente.
Sottotipi:
Ossessioni e Checking
Si tratta di ossessioni e compulsioni che implicano timori ricorrenti e controlli
protratti e ripetuti correlati al dubbio di aver dimenticato qualcosa o di aver fatto un errore o danneggiato qualcosa o qualcuno inavvertitamente. Il timore è che una propria azione o omissione
sia causa di disgrazie. Controlli tipici riguardano l’aver chiuso la porta di casa, il gas o l'acqua; di aver contato bene i soldi o non aver scritto parole blasfeme.
Pulizia e lavaggi
Ossessioni e compulsioni connesse al rischio di contagi o contaminazioni. Le persone che
ne soffrono sono tormentate dall'insistente preoccupazione che loro stessi o un familiare possa ammalarsi entrando in contatto con qualche invisibile germe o sostanza tossica. Agenti
"contaminanti" comprendono sostanze come urine, sangue, sudore, saponi, solventi e, per generalizzazione, tutti gli oggetti o persone potenzialmente veicolo di queste sostanze. Il contatto con la
sostanza temuta è seguita da rituali tesi a neutralizzare la contaminazione, ovvero rituali di lavaggio (es. lavaggio ripetuto delle mani, dei vestiti o di oggetti personali).
Accumulo
E' un tipo di sintomo piuttosto raro che consiste in condotte di accumulo e conservazione
di oggetti, anche insignificanti e deperibili (es. giornali, pacchetti di sigarette vuoti, bottiglie vuote) giustificate dal paziente con il timore di gettare via qualcosa che "un giorno o
l'altro potrebbe servire". Le condotte di accumulo non sono generalmente accompagnate da ossessioni. Lo spazio occupato dalle "collezioni" può arrivare a occupare gran parte dello spazio in casa.
Questi soggetti sono generalmente poco critici riguardo ai loro rituali.
Simmetria e Ordine
Si tratta di sintomi correlati a un’intolleranza alla percezione che gli oggetti siano
posti in modo disordinato o asimmetrico. Libri, fogli, penne, asciugamani, videocassette, abiti, piatti, devono risultare perfettamente allineati, simmetrici e ordinati secondo una precisa logica
(es. dimensione, colore). Quando il paziente percepisce asimmetria o disordine si impegna anche per molte ore a riordinare questi oggetti, fino a sentirli “a posto”. Le ossessioni di ordine e
simmetria possono riguardare anche il proprio corpo (es. pettinatura dei capelli, abiti).
Il disturbo bipolare o maniaco-depressivo colpisce circa 1 persona su 100. Nonostante
non sia molto diffuso, è una malattia seria e, se non trattata adeguatamente, può causare gravi sofferenze e risultare anche molto invalidante. E' un disturbo caratterizzato da gravi alterazioni
dell'umore, e quindi delle emozioni, dei pensieri e dei comportamenti. Chi ne soffre può essere al settimo cielo in un periodo e alla disperazione in un altro senza alcuna ragione apparente,
passando dal paradiso della fase maniacale all'inferno della fase depressiva anche più volte durante la vita.
Durante le fasi maniacali la persona può presentare disinibizione eccessiva e, in genere, comportamenti socialmente inappropriati. Si sente
particolarmente euforica, con la sensazione di avere enormi potenzialità personali: tutto le appare possibile e fattibile, tanto che spesso commette azioni
impulsiveanche pericolose per se stessa o per gli altri o intraprende azioni avventate. Non riesce a portare a termine alcun progetto.
Il comportamento diventa disorganizzato e inconcludente, con azioni senza alcuna direzione apparente: non fa in tempo ad iniziare un'attività, che la
lascia a metà per passare ad altro o fa più cose contemporaneamente senza completarne alcuna. Ha unagrande energia, tanto da non sentire il bisogno di mangiare né dormire. I
pensieri vanno così veloci che è difficile stargli dietro, così come le parole. Spesso i sensi sembrano affinarsi e la percezione diventa più vivida. Anche il desiderio sessuale può aumentare,
diventando quasi impellente, con comportamenti impulsivi. Le persone che guardano l'individuo che soffre di maniacalità stentano a riconoscerlo: prima timido e riservato, ora non smette un attimo
di parlare ed è sorprendentemente disinibito.
In molti casi, la fase maniacale è caratterizzata da umore disforico, con una sensazione diingiustizia subita e quindi
grande irritabilità, rabbiosità e intolleranza. Spesso queste sensazioni sono accompagnate da un comportamento aggressivo, con scarsa capacità di valutare
le conseguenze delle proprie azioni.
Queste fasi di eccitazione possono essere più o meno severe (maniacali o ipomaniacali).In tutti i casi possono comportare gravi danni, perché chi ne soffre con il suo comportamento può rovinarsi
relazioni importanti, spendere tutti i suoi risparmi in qualcosa che gli sembra un ottimo affare e poi si rivela un fallimento o in qualcosa che gli appare in quel momento assolutamente
indispensabile, o fare incidenti stradali per l'alta velocità o per essere passato con il rosso. E così via.
Quando l'eccitazione e l'energia aumentano molto si possono sviluppare deliri di grandezza o "paranoia": cose banali acquistano per l'individuo un'importanza straordinaria e un doppio senso.
Tutto è riferito a lui: la radio e la TV parlano di lui, ovunque ci sono inseguimenti, spie e complotti. Raramente arriva a sentire anche delle voci.
Le fasi depressive seguono spesso quelle maniacali e sono completamente all'opposto.
L'umoreè molto basso, con la sensazione che nulla interessi né possa dare piacere. Si perde il significato della vita, che appare profondamente dolorosa. Il
sonno e l'appetito possono aumentare o diminuire. Ci si sente senza energie e facilmente affaticati, con una grande difficoltà nel concentrarsi. Le fasi depressive possono risultare talmente
gravi da portare al suicidio o ad atti autolesionistici.
Le fasi depressive solitamente durano di più di quelle maniacali, che possono durare anche solo pochi giorni. Spesso le fasi
depressive sono anche più frequenti. A volte da una fase si passa immediatamente all'altra, altre volte intercorre un periodo di umore normale. Di solito una fase insorge gradualmente, ma a volte
l'insorgenza è più improvvisa.
L'abuso di alcol o droga si associa frequentemente al disturbo bipolare e lo può peggiorare gravemente.
Le ricerche dicono che 1 persona su 100 può soffrire di disturbo bipolare, con la stessa probabilità per gli uomini e le donne. Di
solito il primo episodio del disturbo si sviluppa nella tarda adolescenza o nella prima età adulta, per poi aversi più o meno frequentemente per tutta la vita.
La diagnosi di mania si può porre se si ha un periodo (4 giorni o una settimana), di anormale e persistente
elevazione del tono dell'umore, con caratteristiche di espansività o irritabilità e con la compromissione delle attività di studio, di lavoro, delle relazioni o gravi danni per sé o per gli
altri. I sintomi che possono essere presenti sono:
aumentato coinvolgimento in attività che possono avere conseguenze pericolose, come per es. spendere molto denaro o intraprendere attività sessuali inusuali per la persona.
La diagnosi di depressione si
può porre se si ha un periodo di almeno due settimane con quotidiano umore basso e perdita di interesse e di piacere in tutte o quasi le attività. La depressione comporta compromissioni nel
lavoro e nello studio, nelle relazioni, nella concentrazione e nel funzionamento somatico (appetito, sonno, desiderio sessuale, etc.).
I sintomi che possono essere presenti sono i seguenti:
A volte la persona che soffre di disturbo bipolare può sperimentare solo fasi maniacali o ipomaniacali di euforia o di
irritabilità. Se si presentano invece solo fasi depressive senza alcuna fase di eccitamento, la persona soffre di disturbo depressivo maggiore.
Il disturbo bipolare può presentarsi in associazione con i disturbi
di personalità, disturbi
d'ansia, disturbi del sonno,
deliri, abuso di alcol e di sostanze.
Non esiste un'unica causa del disturbo bipolare, anche se è dimostrata la familiarità del disturbo, per cui i fattori genetici giocano un ruolo importante nella vulnerabilità a sviluppare il disturbo. Spesso questa tendenza si manifesta attraverso un temperamento ipertimico, pieno di vitalità ed energia che gli antichi greci chiamavano "sanguigno" o un temperamento irritabile con esplosioni di rabbia sproporzionate alle cause (il "collerico" per gli antichi greci) o ancora, un temperamento ciclotimico con forti oscillazioni dell'umore e dell'energia ed infine un temperamento "melanconico" tendete alla tristezza e al pessimismo. Chi ha un parente, soprattutto un parente prossimo come un genitore o un nonno, che soffre o ha sofferto di questa malattia e/o ha un temperamento sanguigno, collerico o ciclotimico ha una maggiore probabilità di sviluppare il disturbo, ma può anche non ammalarsi mai, perchè i geni costituiscono un importante fattore ma solo di rischio. Altri fattori possono svolgere un ruolo importante, come gli eventi di vita stressanti o successi, il consumo eccessivo di caffè, alcol, droga o altri stimolanti, le gravi irregolarità del sonno, una bassa qualità di vita, alcuni farmaci, e così via. La combinazione tra questi fattori e quelli genetici causa la malattia.
Laura, una bella ragazza di 21 anni, dice: “Da due anni quando mi guardo allo specchio o quando faccio caso al mio corpo, mi sento
sgradevole; è difficile da spiegare, ma è come se mi facessi schifo, disgusto. Guardo le mie cosce o la mia pancia e mi sembra di vedere tanta ciccia o cellulite. Solo quando riesco a mangiare
poco, mi sembra di essere a posto e non volgare, e quindi spesso mi metto a fare lunghi digiuni o diete ferree. Il problema è che poi o perché sono soddisfatta di me e mi voglio premiare o perché
mi sento depressa e non ne posso più della dieta, mi concedo di interrompere la dieta. A quel punto in un attimo mi risento uno schifo e mi ritrovo ad abbuffarmi di schifezze e ricomincio con
abbuffate e vomito. Più mangio e più mi viene voglia di provocarmi il vomito; però poi più vomito e più mi sento uno schifo e ho voglia di mangiare. Mi sembra di non riuscire a pensare ad altro
che al cibo: o perché non mangio, o perché mangio, o perché devo eliminare quello che ho mangiato”.Distrurbi dell'alimentazione
Quello descritto da Laura è un esempio dell’esperienza delle pazienti bulimiche e del circolo vizioso che si viene a creare tra
abbuffate e condotte tese a controllare il peso.
Come si riconosce il disturbo? Si fa diagnosi di Bulimia quando sono presenti i seguenti comportamenti: abbuffate ricorrenti,
ovvero consumo di grandi quantità di cibo indipendentemente dalla percezione di fame e con la sensazione di perdita di controllo (ad esempio: mangiare un pacco intero di merendine subito dopo un
pranzo completo); condotte di compenso, finalizzate a neutralizzare gli effetti delle abbuffate, come il vomito autoindotto (che è il comportamento di compenso più frequentemente utilizzato),
l’assunzione impropria di lassativi e diuretici, o la pratica eccessiva di esercizio fisico. È, inoltre, presente una continua ed estrema preoccupazione per il peso e le forme corporee. Le
abbuffate sono vissute in genere con estrema vergogna e disagio; spesso sono associate a momenti di solitudine, di stress, di sensazione psicologica di vuoto o di noia, ed il cibo viene
rapidamente ingerito in maniera scomposta, incoerente ed eccessiva.
Quando siamo davanti a un caso di bulimia le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano almeno 2 volte a settimana per un
periodo minimo di tre mesi.
Come illuminato dall’esempio di Laura la caratteristica principale della bulimia nervosa è un circolo vizioso che tende ad
autoperpetrarsi tra preoccupazione per il peso, dieta ferrea, abbuffate e condotte di compenso. Paradossalmente la dieta ferrea aumenta la probabilità e la frequenza delle abbuffate; queste
aumentano la probabilità del vomito o di altre condotte eliminatorie e così via. Tra l’altro l’esposizione ad una continua restrizione calorica ed alla perdita di peso può provocare sintomi quali
depressione, ansia, ossessività, irritabilità, labilità dell'umore, sensazione di inadeguatezza, affaticamento, preoccupazione per il cibo, scarsa concentrazione, isolamento sociale e forte
spinta ad abbuffarsi.
I soggetti bulimici generalmente hanno un peso normale, cosa che rende il disturbo più difficile da identificare (rispetto per
esempio all’anoressia, facilmente individuabile per la significativa perdita di peso).
È un disturbo che usualmente insorge alla fine dell'adolescenza o all'inizio della giovinezza ed è molto più frequente nel sesso
femminile (9 a 1 nel rapporto con il sesso maschile). L’esordio si ha generalmente in un età compresa tra i quindici e i venticinque anni, con un picco nella fascia d’età che va dai 17 ai 19.
Sono comunque descritte anche forme precoci, in età infantile, e tardive.
Nei paesi occidentali la prevalenza è di circa un caso ogni cento giovani donne, anche se forse i dati di prevalenza e incidenza
tendono a sottostimare la dimensione effettiva del fenomeno, dal momento che questa patologia tende a essere tenuta nascosta per vergogna e che le persone affette possono mascherare il disturbo
per anni.
Le complicanze mediche, spesso sottovalutate, sono conseguenti sia delle abbuffate sia delle condotte di compenso. Il vomito
ripetuto e l'abuso di lassativi o diuretici inducono scompensi dell'equilibrio elettrolitico, soprattutto riducono i livelli ematici di potassio, con serie ripercussioni a livello cardiaco,
renale, cerebrale. Gastriti, esofagiti, emorroidi, prolasso rettale sono tra le altre patologie secondarie al vomito frequente e all'abuso di lassativi. Il vomito ripetuto, inoltre, può condurre
ad una cospicua e permanente perdita dello smalto dentale, specialmente dei denti incisivi; questi diventano scheggiati, intaccati, e "tarlati"; aumenta inoltre la frequenza delle
carie.
Quelle elencate sono solo alcune delle conseguenze della bulimia. Se non trattati in tempi e con metodi adeguati, i disordini
alimentari possono diventare una condizione permanente e nei casi gravi portare alla morte, che solitamente avviene per suicidio o per arresto cardiaco. Secondo l’American Psychiatric Association
(APA), sono la prima causa di morte per malattia mentale nei paesi occidentali.
Si possono distinguere due forme di questo disturbo: l'anoressia restrittiva, in
cui la perdita di peso è ottenuta attraverso una dieta ferrea, il digiuno e/o l'eccessiva attività fisica e quella con bulimia, quando alle condotte di restrizione del'assunzione del cibo, si
aggiungono episodi di abbuffate (caratterizzate da un'abnorme ingestione di cibo in un tempo ridotto e dalla sensazione di perdere il controllo durante l'episodio) alternate a condotte di
eliminazione (vomito autoindotto, uso eccessivo di lassativi o diuretici).
Uno dei vissuti più angoscianti delle persone anoressiche, è legato ad una errata
percezione del proprio corpo, vissuto come sgradevole e perennemente inadeguato. Alcuni si sentono grassi in riferimento a tutto il loro corpo, altri pur ammettendo la propria magrezza
concentrano le loro critiche ad alcune parti del corpo (di frequente la pancia, i glutei, le cosce). Il disturbo dell'immagine corporea non è imputabile ad un disturbo della percezione, in
quanto tendono a sovrastimare anche il peso e la forma di altre persone, ma mai quanto i propri. Questa distorsione tende inoltre a diminuire man mano che le persone riacquistano
peso.
Il livello di autostima e di valutazione di sè è influenzato dalla capacità di
controllare il proprio peso e i fallimenti sono seguiti da autocritica e svalutazione. Essendo gli standard attesi molto elevati e il metro di giudizio tendente al perfezionismo, diventa
molto facile che gli obiettivi non vengano raggiunti e si presentino tali condizioni negative.
In un primo momento lo stress e le fatiche della restrizione vengono sostituiti da un
maggior senso di energia e da un generale stato di benessere. Quando però questa fase termina, il pensiero del cibo e del mangiare ritorna, insieme alla paura di perdere il controllo e alla
paura che se si mangia normalmente si sarà incapaci di smettere e si ingrasserà. Con l'aumento della perdita di peso la concentrazione, la memoria e la capacità di giudizio critico
diminuiscono, mentre si accentuano sempre più le emozioni negative, l'iperattività, l'irritabilità, l'asocialità e i disturbi del sonno. Nei casi in cui vi è una evoluzione cronica, o
comunque una perdita di peso superiore al 25%, e/o complicazioni mediche è necessario il ricovero ospedaliero.
Rilevanza del problema
L’interesse per i Disturbi d’Ansia e di Panico è aumentato notevolmente negli ultimi anni, poiché questi sembrano essere i
principali motivi di consultazione specialistica nell’ambito dei problemi psicologici. Stando ai dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), infatti, i disturbi d’ansia sono
i più diffusi, con una stima, al 1996, di circa 400 milioni di casi.
Cos’è un disturbo d’ansia
Paura e ansia sono emozioni complesse che segnalano all’individuo la preoccupazione e l’attesa per qualcosa d'indefinito, di
spiacevole e, soprattutto, minaccioso.
Come tutte le emozioni, anche l’ansia non è disfunzionale in sé ma, al contrario, è indispensabile per la sopravvivenza e
segnala la percezione soggettiva di minaccia imminente per obiettivi importanti che vogliamo perseguire o per la nostra incolumità fisica.
Tuttavia, la sovrastima del pericolo o la sottostima della capacità di farvi fronte, contribuiscono ad accrescere i sintomi
d’ansia che, a loro volta, diventano fonte di minaccia per l’individuo che li sperimenta. In altre parole, l'ansia diventa patologica quando l’intensità e la frequenza della stessa e delle
condotte problematiche attuate di conseguenza (es. evitamenti, rituali di controllo, etc.) sono tali da produrre significative compromissioni nella vita del soggetto.
La maggior parte degli individui con problemi di ansia lamentano una lista numerosa di sensazioni e di disturbi: palpitazioni;
tachicardia; sudorazione eccessiva; sensazione di soffocamento; dolore o fastidio al petto; sensazioni di sbandamento e/o di svenimento.
Quando lo stato d'ansia è particolarmente intenso e prolungato nel tempo può causare, com’è facile immaginare, una quasi
totale compromissione della vita di relazione e dell’autonomia.
Tuttavia, di solito, il disturbo d’ansia diventa motivo di consultazione quando la persona ha fallito nei propri tentativi di
gestione dei sintomi.
L’ansia patologica può assumere diverse forme, classificabili sulla base dei sintomi presentati e della specifica
compromissione che ne deriva.
La depressione è un disturbo molto diffuso. Ne soffrono infatti circa 15 persone su 100. Le statistiche ci dicono che in un gruppo di 6 persone almeno una persona soffrirà di depressione nella sua vita.
Tutti quanti abbiamo l'esperienza di una giornata storta, in cui siamo giù di corda, tristi, più irritabili del solito e "ci
sentiamo un po' depressi". Molto probabilmente non si tratta di un disturbo depressivo, ma di un calo d'umore passeggero. La depressione clinica invece presenta molti altri
sintomi e si prolunga nel tempo. Per andare via richiede un trattamento psicologico e/o farmacologico. Chi ne soffre ha un umore depresso per tutta la giornata per più giorni di seguito e non
riesce più a provare interesse e piacere nelle attività che prima lo interessavano e lo facevano stare bene. Si sente sempre giù e/o irritabile, si sente stanco, ha pensieri negativi,
e spesso sente la vita come dolorosa e senza senso ("dolore del vivere").
In generale, chi ha la depressione clinica può soffrire quotidianamente dei seguenti sintomi:
Può essere che i sintomi si presentino improvvisamente in modo acuto in persone che generalmente hanno una personalità "ottimista e allegra" o siano costanti nel tempo ma più leggeri, con alcuni momenti o periodi di peggioramento. Naturalmente è raro che una persona depressa abbia contemporaneamente tutti i sintomi riportati nell'elenco, ma se soffre quotidianamente dei primi due sintomi nell'elenco e di almeno altri tre è molto probabile che abbia un disturbo depressivo.
Il disturbo depressivo può colpire chiunque a qualunque età, ma è più frequente tra i 25 e i 44 anni di età
ed è due volte più comune nelle donne adolescenti e adulte, mentre le bambine e i bambini sembrano soffrirne in egual misura.
Le cause della malattia sono molteplici e diverse da persona a persona (ereditarietà, ambiente sociale,
lutti familiari, problemi di lavoro, relazionali, etc.). Le ricerche hanno scoperto due cause principali: il fattore biologico, per cui alcuni hanno una maggiore predisposizione genetica verso
questa malattia; e il fattore psicologico, per cui le nostre esperienze (particolarmente quelle infantili) possono portare ad una maggiore vulnerabilità acquisita alla malattia. La vulnerabilità
biologica e quella psicologica interagiscono tra di loro e non necessariamente portano allo sviluppo del disturbo. Una persona vulnerabile può non ammalarsi mai di depressione, se non capita
qualcosa in grado di scatenare il disturbo e se ha relazioni buone e supportive. Il fattore scatenante è spesso qualche evento stressante o qualche tensione importante che turba la nostra vita.
Ma spesso è difficile capire cosa ha scatenato la nostra depressione, soprattutto se non è la prima volta che ne soffriamo.
Il disturbo depressivo può portare a gravi compromissioni nella vita di chi ne soffre. Non si riesce più a
lavorare o a studiare, a iniziare e mantenere relazioni sociali e affettive, a provare piacere e interesse nelle attività. 15 persone su 100 che soffrono di depressione clinica grave muoiono
per suicidio.
Il disturbo depressivo si associa spesso ad altri disturbi psicologici (disturbo di panico, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo da uso di sostanze e alcol, anoressia nervosa,
e bulimia,
disturbi di personalità, etc.). 25 persone su 100 che soffrono di un disturbo organico, come il diabete, la cardiopatia, l’HIV, l’invalidità corporea fino ad arrivare ai casi di malattie
terminali, si ammalano anche di depressione. Purtroppo la depressione può portare ad un aggravamento ulteriore, dato che quando si è depressi si ha difficoltà a collaborare nella cura, dal
momento che ci si sente affaticati, con difficoltà a concentrarsi, senso di impotenza, scarsa fiducia di migliorare, passività, e così via. Inoltre, la depressione può complicare la cura anche
per le conseguenze negative che può avere sul sistema immunitario e sulla già compromessa qualità di vita di chi soffre. E' necessario dunque curare non solo il disturbo organico ma anche quello
depressivo.
Nella maggior parte dei casi la guarigione da un episodio depressivo è seguita da diverse ricadute. Chi si ammala di depressione
può facilmente soffrirne più volte nell’arco della vita. La depressione è infatti un disturbo ricorrente e sono rari i casi di episodi singoli nell'arco della vita. Sebbene i farmaci siano molto
efficaci nel ridurre i sintomi acuti, non lo sono altrettanto nel risolvere la vulnerabilità alla ricaduta e nella maggior parte dei casi la loro interruzione porta al riacutizzarsi della
sintomatologia e alla ricorrenza. La sola cura farmacologica inoltre può essere ostacolata dalla non collaborazione alla cura e disaccordo con la prescrizione medica. La combinazione tra
un'adeguata farmacoterapia e la psicoterapia cognitivo-comportamentale aumenta significativamente il tasso di successi, sia nella cura dei sintomi acuti che della ricorrenza.